In data 01/01/2020 è entrata in vigore la riforma della prescrizione prevista dall’art. 1 lett. d), e) ed f) della l. n. 03/2019. Ha suscitato grandi polemiche la nuova formulazione del secondo comma dell’art. 159 c.p., il quale prevede che il corso della prescrizione rimane sospeso “dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna”. In soldoni: se sei stato condannato in primo grado, fai pure tutti gli appelli e i ricorsi che vuoi, tanto la prescrizione non arriverà mai. Così, si dice, farà appello solo chi ha buoni motivi per farlo. Sciocchezze. Sei veramente colpevole? E allora perché non fare appello? La prescrizione non arriverà, ma ad andare in galera c’è sempre tempo, e poi chissà, un nuovo giudice potrebbe pensarla diversamente. Inoltre, se prima l’avvocato doveva trascinare il processo fino ad una certa data, adesso dovrà trascinarlo sino all’inverosimile. Sei innocente? Allora è ovvio che fai appello. Dai inizio ad un processo del quale non importa più niente a nessuno. Ai giornali, che ormai ti hanno rovinato, e se ti dovessero assolvere se ne usciranno (forse) con due righe in caratteri microscopici in ultima pagina. Ai giudici, che dovrebbero perdere tempo con un tizio la cui colpevolezza è già stata provata. Che fretta c’è di fare un altro processo? Tanto La prescrizione non incombe più! Si, è vero, circa il 50% delle sentenze di primo grado viene riformata in appello, ma sono sottigliezze: eventuali innocenti possono attendere.
La riforma della prescrizione è una vera porcheria, e può piacere solo a coloro che non hanno avuto la sfortuna di finire negli ingranaggi della giustizia penale. A questi basta dire: “il tale pericoloso bandito l’ha fatta franca per via della prescrizione! Quindi, via la prescrizione.” E giù applausi. Non è vero, il bandito l’ha fatta franca perché lo Stato non è capace di fare un processo in tempi decenti.
La prescrizione è un momento di civiltà giuridica.
Vi racconto un caso reale (ma ne esistono a migliaia). Un ragazzo, appena maggiorenne, commette un piccolo reato. Indagini estremamente semplici, è tutto chiaro come il sole. Viene rinviato a giudizio sei anni dopo. Sei anni nei quali, si badi bene, l’avvocato non ha avuto alcuna possibilità di mettere le mani in pasta per allungare i tempi. I giudici hanno fatto tutto da soli. Nel frattempo il ragazzo ha trovato lavoro, si è sposato ed ha avuto due figli: un cittadino modello. Bene, mettiamolo in galera per … rimetterlo sulla retta via! Perderà il lavoro, perderà la moglie, il legame con i figli. E poi rimettiamo in circolazione un nuovo avanzo di galera. Complimenti! Lo Stato avrebbe fatto un vero affare. In casi come questo viene da esclamare : Santa prescrizione! (attenzione, la prescrizione del reato è una cosa, il risarcimento del danno è altra cosa).
Se poi abbiamo a che fare con un innocente condannato ingiustamente (e sono tanti, ripetiamo: il 50% circa delle condanne in primo grado viene riformato in appello), lo condanniamo ad un calvario potenzialmente senza fine. Ancora complimenti!
La questione è in realtà molto semplice. Il problema non è la prescrizione, ma la farraginosità del sistema giudiziario. La punizione deve arrivare a breve tempo dalla commissione del reato. E’ un principio che vale anche per i bambini e per i cani. Non dai una sculacciata a tuo figlio oggi perché tre mesi fa ha fatto i capricci. Ti prenderà per scemo, e chi ti sta vicino per violento.
Quali siano le soluzioni possibili è un altro discorso, che tratteremo un’altra volta.
Avv. Tullio Sciré
Seguici sui Social