Il 19 dicembre scorso è stato deliberato per la prima volta che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”. In poche parole coltivare, in minima quantità e solo per uso personale, la cannabis in casa non costituirà più reato. La pronuncia epocale delle sezioni unite della Cassazione capovolge la tesi da tempo sostenuta per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo che decide di coltivare per sé qualche piantina di marijuana. Tuttavia numerosi sono i paletti messi dagli Ermellini, difatti, il riferimento è alla marijuana coltivata in piccoli vasi e consumata soltanto privatamente, oltre ad essere coltivata con determinate modalità. Il reato di coltivazione di stupefacente, pertanto, rimane configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. Via libera pertanto, sempre nelle modalità sopra indicate, alla coltivazione delle piantine di cannabis, al cui risultato è possibile giungere anche attraverso kit acquistabili su interne senza alcun forma di controllo, soprattutto sull’età dell’acquirente. Prima di tale pronuncia, le cui motivazioni devono ancora essere depositate, la coltivazione di semi di cannabis era del tutto illegale, indipendentemente dal numero di piantine, dal principio attivo ricavabile e dall’uso personale o meno dello stesso. È evidente il ribaltamento del principio fin qui stabilito. Occorre, comunque, ricordare che la sentenza non significa che sia cambiata la legge, né che d’ora in poi tutte le sentenze di grado inferiore saranno necessariamente analoghe: ma è comunque una cosa importante per il trattamento giuridico dei casi simili in Italia. Anche se le sentenze della Cassazione non hanno di per sé un valore vincolante se non per il procedimento giudiziario per il quale vengono emesse, quelle decise dalle sezioni unite sono molto autorevoli. È probabile, insomma, che l’orientamento della sentenza sarà seguito d’ora in avanti dai giudici che dovranno decidere sullo stesso tema. Si tratta di una svolta notevole nel sistema giuridico italiano dove per molti anni si è sempre pensato alla tutela del bene della vita come bene primario dinanzi al quale qualsiasi interesse era destinato a soccombere. Attendiamo in ogni caso le motivazioni per giungere eventualmente ad un totale capovolgimento dei principi che hanno ispirato la nostra costituzione. D’altronde rendere legale la coltivazione della cannabis potrebbe significare per molti “normalizzare” qualcosa di pericoloso, rappresentando oltretutto una evidente sconfitta alla lotta alla criminalità organizzata che detiene il monopolio della vendita degli stupefacenti.
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